L’edificio in laterizio conosciuto come “Mandracchio”, nella frazione di Marina di Montemarciano lungo la Strada Statale 16 (in passato via litoranea,) è un interessante esempio di architettura composita e stratificata che testimonia l’evoluzione delle varie fasi insediative nel territorio di “Case Bruciate”, nome che la frazione ha conservato fino al 1938.
La storia di questo complesso, nato forse come semplice torre difensiva a fine Trecento (è citata nei documenti d’archivio una “Torre de Robiano”, verso levante, che fungeva da presidio per la marina, con ingresso sopraelevato e una caditoia) e progressivamente ampliato nelle sue forme fino al XIX secolo, è una storia secolare. La sua posizione strategica gli ha infatti consentito di prestarsi a varie destinazioni d’uso: da casa-torre malatestiana a importante scalo marittimo e deposito per cereali e sale, oltre che posto di guardia e gabella, osteria e albergo al servizio dei viandanti, nonché stazione di posta e, occasionalmente, anche luogo di acquartieramento per i soldati in transito, fino al più recente e caotico uso come falansterio, come spazio di lavoro per artigiani e di rimessaggio per le barche (per buona parte del XX secolo).
La popolare denominazione “Mandracchio”, che ha sostituito le precedenti “Osteria di Casa Bruciata”, “Posta di Casa Bruciata” – o, talvolta, semplicemente “Casa Bruciata”, prendendo quindi il nome dalla località stessa – si è imposta a partire dalla seconda metà del XIX secolo, quando l’edificio ha smesso di funzionare come stazione di posta. Etimologicamente, il termine deriva dal greco “mandra” (= ricettacolo), il cui diminutivo latino, “mandraculum” (di significato affine) è diventato “mandracchio”, ad indicare la parte interna di un porto usata come darsena per imbarcazioni di piccole dimensioni, come nel caso del Lazzaretto di Ancona, appunto conosciuto popolarmente come mandracchio. Ed è proprio da quest’ultimo che l’edificio di Marina avrebbe mutuato l’attuale denominazione, la quale serviva forse a rimarcare il carattere di “porto di mare” che l’edificio aveva assunto tra Ottocento e Novecento, con l’inizio della sua “fase condominiale”.
Se, come già detto, è plausibile identificare il primo nucleo del Mandracchio con la trecentesca torre di levante attestata nella medesima area, alla foce del torrente Rubiano, notizie più certe sul manufatto iniziano a comparire a metà Quattrocento, quando i Malatesta di Pesaro approntano lo scalo portuale di «Caxa brusiata» (dal 1453) e, in parallelo, avviano i lavori per edificare (o, più probabilmente, ri-edificare) la struttura fortificata in seguito nota come Mandracchio, la quale servirà da osteria-deposito proprio a partire da questo periodo. È infatti già documentata la presenza di osti, che si avvicendano annualmente, oltre che di operai ed esperti artigiani, anche forestieri, che lavorano nella vicina fornace per ottenere materiale da costruzione utile all’ampliamento della torre, che sotto i Malatesta si configura come una casa-torre. Essa ha probabilmente uno sviluppo su tre piani, con ingresso verso ponente e alcuni spazi abitativi (una cucina, un salone con camino e alcune camere), oltre ad una capanna in legno, che doveva servire da stalla.
È però con i Piccolomini, subentrati ai Malatesta nel 1463, che la struttura prende forma in maniera più evidente, potenziando la sua funzione di osteria e di deposito portuale grazie soprattutto agli introiti garantiti dal commercio cerealicolo – attivato con successo dai Malatesta già a inizio Quattrocento – non meno che dalle gabelle, poiché ogni tipo di merce in transito qui viene tassata. Nel 1485 l’osteria subisce un violento attacco da parte dei Turchi (il 28 settembre), il quale rende necessario adeguarla ancora di più alle esigenze militari e difensive: si provvede quindi a costruire un nuovo corpo di fabbrica, con un’ulteriore torre, a ponente, e una serie di annessi che daranno al Mandracchio l’aspetto che ancora oggi in parte conserva. Non è possibile stabilire la successione cronologica delle varie fasi costruttive ma ciò che è certo è che a fine Cinquecento, il complesso si configura come un quadrilatero con corte chiusa e a due accessi, uno verso mare e l’altro a monte, e le due torri sul fronte mare. Un documento notarile del 1591 ci informa che l’albergo-osteria, con almeno otto “cambere” (camere) per gli ospiti e possibilità di far pernottare anche una cinquantina di avventori, è suddivisa in vari ambienti, tra cui una grande sala con camino e suppellettili varie, la “cosina” (cucina), ben attrezzata, la cantina al piano terra, la stalla – o, forse, le stalle – e il cortile interno.
È doveroso a questo punto ricordare alcuni fatti significativi che dimostrano l’importanza raggiunta dal complesso architettonico nel XVI secolo, primo fra tutti lo sbarco del pittore Lorenzo Lotto al Mandracchio, avvenuto l’11 dicembre 1532, per consegnare la pala di Santa Lucia appena ultimata e commissionatagli ben nove anni prima dalla Confraternita jesina dell’Ospedale di Santa Lucia; l’opera è conservata nella Pinacoteca civica di Palazzo Pianetti, a Jesi, qui giunta dalla chiesa di San Floriano, sempre a Jesi.
Essendosi inoltre consolidato all’interno del Mandracchio il servizio di posta-cavalli – che verrà sistematizzato a tutti gli effetti con il passaggio dalla dominazione dei Piccolomini a quella della Real Camera Apostolica, alla fine del XVI secolo -, la località di Case Bruciate nel 1562 merita l’inserimento nella prima guida postale stampata in Italia.
Transitano inoltre nell’area del Mandracchio lo scrittore Michel Montaigne (27/04/1581), senza però fermarsi, e papa Clemente VII, giunto nel 1598 per accogliere le suppliche dei montemarcianesi.
Con la turbolenta fine del vicariato dei Piccolomini e l’inizio della dominazione pontificia sul territorio di Marina e di Montemarciano, l’osteria di Case Bruciate, pur continuando a funzionare a pieno regime, subisce alcune modifiche che ne intaccano l’aspetto originario, a cominciare dalla rimozione di tutti gli stemmi e le insegne piccolominee; per di più, dopo il passaggio delle milizie pontificie nel 1623, l’intera struttura minaccia rovina da più parti.
Le autorità pontificie decidono allora di intervenire: risale al 1625 l’inizio dei lavori di ristrutturazione, che comprenderanno anche l’edificazione di una nuova chiesa dedicata a San Carlo Borromeo, poco distante dall’osteria, ad uso di forestieri e pellegrini. Proseguono intanto sia il servizio di posta-cavalli che quello di casermaggio: l’osteria, infatti, accoglie le truppe di passaggio sia nel 1629 che nel 1644. In quest’ultimo caso, si tratta di ben 500 soldati francesi al servizio del papa e diretti a Bologna, alcuni dei quali vengono fatti alloggiare nelle poche case presenti intorno all’area del Mandracchio.
Durante il XVIII e XIX secolo permane l’uso del Mandracchio – presidiato costantemente da guardie – come osteria, scalo portuale, servizio di posta e deposito per prodotti agricoli, anche se già dal Settecento era fortemente aumentata la distanza dalla riva dal mare, con conseguenti difficoltà nell’impiego della struttura per le esigenze del commercio marittimo, fino a che, intorno al 1830, non scompare del tutto questo collegamento, seppellito dai detriti di ghiaia e rena, i cosiddetti relitti di mare. Nel 1815 il complesso architettonico viene gravemente danneggiato dalle truppe austroungariche, che bruciano porte, finestre, travi e tavoli, spingendosi fino al Casino Honorati (oggi villa Marzocchi), anch’esso preso d’assalto. È documentato in questo secolo un intervento di ampliamento che interessa l’ala del Mandracchio rivolta a ponente.
Il definito declino dell’osteria di posta-cavalli avviene dopo il 1860, a seguito della costruzione della rete-ferroviaria Rimini-Ancona (1861) e Falconara-Roma (1866), che rendono di fatto inutili i servizi prestati fino a quel momento dal Mandracchio. La struttura viene a questo punto convertita in semplice abitazione e inizia ad ospitare qualche piccola bottega; è dello stesso periodo l’ultima integrazione architettonica, consistente nel piccolo corpo di fabbrica di raccordo tra le parti ottocentesche, sul fronte “a monte”.
Nel corso del XX secolo, il Mandracchio mantiene l’uso abitativo già in qualche modo impostosi negli ultimi decenni del secolo precedente, arrivando ad accogliere un centinaio fra artigiani, operai, pescatori, nobili decaduti ed intere famiglie di indigenti. Durante questo periodo, si adatta l’interno dell’antica osteria alle esigenze dei nuovi inquilini, attraverso una suddivisione degli spazi con tramezzi, ad ottenere piccoli alloggi di fortuna. Risale al 1930 la demolizione del piano superiore delle due torri, in corrispondenza dei beccatelli, mentre dopo il terremoto del 1972 la struttura rimane disabitata e inutilizzata. L’ultimo intervento di restauro effettuato è quello del 1988, con lavori di ripristino e di consolidamento della struttura portante.
Oggi è possibile apprezzare le mura esterne del Mandracchio passando per le vie Roma e Flaminia.