Eterea e poderosa allo stesso tempo, l’opera “Le Muse ritrovate” dell’artista montemarcianese Claudio Candelaresi è una scultura composita in bronzo realizzata per il Comune nel 1999. Attualmente ai Giardini 8 marzo di Marina di Montemarciano, era stata inizialmente collocata nell’area antistante le scuole elementari e medie della frazione costiera, da lì spostata dopo qualche anno per valorizzarne maggiormente l’indiscutibile qualità estetica e renderla più fruibile ai cittadini e ai turisti. Per la sua particolare struttura compositiva, la scultura è perfettamente godibile da ogni angolazione e prospettiva; non ha quindi un punto di vista unico e privilegiato da cui essere guardata ma la si può scoprire nella sua interezza girandoci attorno.
Si compone di una massiccia e polita struttura piramidale, leggermente sollevata da terra e inclinata, sorretta da esili rami che spuntano dalla vasca serbatoio, di forma circolare, su cui l’intera scultura si innesta; la piramide è attraversata da parte a parte da alcuni uccelli, in tutto simili a dei gabbiani, che sfruttano lo squarcio presente sulla superficie della stessa per compiere il loro volo, lungo una traiettoria ascensionale. Nella parte terminale della fenditura, lo scultore ha aggiunto una nuvola piatta dalla superficie accartocciata, anch’essa posta in mezzo alle due metà della piramide tagliata. Arricchiscono questa combinazione di elementi vari le due enigmatiche figure femminili, una dentro l’acqua e l’altra fuori, avvolte da un lungo panno bagnato che aderisce perfettamente alla loro pelle nuda e ne imprigiona ogni movimento. Sono due muse che fuoriescono dall’acqua per ritrovare la vita e per realizzarle Candelaresi si è ispirato, come per altre sue opere scultoree, alla moglie Patrizia.
Nato e vissuto a Marina di Montemarciano, il compianto artista, scomparso lo scorso gennaio, studiò prima a Fano, presso l’Istituto d’Arte, per poi completare la sua formazione a Milano all’Accademia di Belle Arti di Brera ed in seguito all’Accademia di Venezia. Ha insegnato all’Istituto di Fano in cui si era diplomato, all’Istituto d’Arte di Ancona (Disegno dal vero), per poi diventare docente del Corso di Fonderia presso la Scuola di Scultura dell’Accademia di Belle Arti di Macerata.
L’artista maceratese Valeriano Trubbiani, con cui Candelaresi ha collaborato, ha definito così le sue sculture: «Il metallo usato, quasi sempre lamellare e di ridotti spessori, è molto leggero e la scultura ne trae profitto in provvisorietà e caducità […]. Ecco, gli ingranaggi vengono frenati, gli uncini bloccati, i meccanismi levigati, i tentacoli imbrigliati, il cuore del propulsore viene tarpato, quasi a renderli inoffensivi e impotenti: per non ferire, per non nuocere, per non violentare». C’è espresso nelle opere di Candelaresi il lirico e tormentato anelito ad una vita che vuole svincolarsi dalle aberrazioni tecnologiche e che di esse si serve per denunciare uno stato di cose in cui umano e meccanico troppo spesso si confondono.
Dalle opere in acciaio della giovinezza, più concettuali e fredde – ottenute dall’assemblaggio di varie parti meccaniche e griglie metalliche, a simulare esseri umanoidi o ad evocare creature zoomorfe -, lo scultore, durante gli anni della maturità, approda ad una visione poetica che recupera l’istanza figurativa. Diventano così soggetto privilegiato delle sue sculture le farfalle – simbolo di transitorietà, «la farfalla rappresenta gli uomini che cercano di fuggire, di sfuggire», come disse lo stesso Candelaresi – accompagnate spesso da uova in procinto di schiudersi. Pur avendo utilizzato per le sue sculture soprattutto l’acciaio, l’alluminio e il bronzo, l’artista in realtà non disdegnava neanche materiali più naturali come il legno ed è stato anche autore di numerose opere grafiche (si trattava per lo più di bozzetti per le future sculture da realizzare).
Conosciuto a livello nazionale, Claudio Candelaresi ha esposto le sue opere in numerose mostre sia personali che collettive sparse su tutto il territorio – da Roma a Macerata, oltre a Gubbio, Sassoferrato, Veleso, Jesi e Termoli, solo per citarne alcune – ottenendo importanti riconoscimenti, come il Premio Fiorino alla Biennale Internazionale d’Arte di Firenze nel 1971, il Premio Internazionale di Pittura, Scultura e Grafica “Torre di Ansperto” nel ’78, a Milano, e il Premio Marche ad Ancona in due occasioni, nel 1998 e nel 1999.
Per il Comune di Montemarciano, ha curato una personale nel 1978, un’altra mostra al Teatro Alfieri nel 1996 dal titolo “L’itinerario della scultura” e un’esposizione al Centro Sociale annesso al teatro nel 2006; l’anno successivo, ha presentato le sue sculture più recenti in una mostra allestita nel comune bavarese di Höhenkirchen–Siegertsbrunn, gemellato con Montemarciano, sottolineando in quell’occasione come le sue opere fossero dei «paesaggi che racchiudono ricordi andati persi». E in questa frase è racchiusa l’essenza del suo struggente messaggio che, nella potenza di una materia sempre perfettamente levigata e dinamica, ha saputo conservare una certa resilienza e l’amore per una realtà insieme tangibile e immaginifica.