Sita al culmine della via che da essa prende il nome, questa fonte nascosta nel verde è stata per molti secoli (dal XV a tutto il XIX) la principale risorsa di approvvigionamento idrico della comunità montemarcianese. Originariamente denominata “Fonte della Selvettina” (come testimoniato dai Codici Malatestiani e dagli Statuti risalenti alla metà del XV secolo), toponimo che alluderebbe ad una piccola selva presente nella zona (e legato al più antico “Lucareto”, fitonimo derivato da lucus, bosco, o da lucar, ricavato dall’imposta sul bosco) e descritta come una «vecchia fonte in forma di troscia» nei documenti di inizio Ottocento, assunse la denominazione attuale dopo il significativo restauro che la interessò nel 1821, resosi quanto mai necessario per il cattivo stato in cui versava.
Come testimoniato da una lunga lettera di protesta firmata dal medico condotto Francesco Trebbi (datata al luglio del 1821) e indirizzata al gonfaloniere, la Fonte della Selvettina risultava
«aperta ed esposta a ricevere qualunque immondizia […] Non manca perfino chi asserisce, che detto fonte servì alcune volte di abbeveratoio a cavalli, bestie bovine e simili».
E in più,
«considerata nella sua qualità, presenta quest’acqua un notabile sedimento terroso ne’ recipienti […]. Più! Nell’avanzarsi della calda stagione, rendendosi quasi esausto il nominato fonte, quella poc’acqua, che vien da’ vasi raccolta, mostra un color lattiginoso, e tramanda un puzzo insoffribile di quel limaccioso sedimento, di cui abbonda il nostro fonte. Innumerabili in vero sono i danni che all’umana salute derivano dall’uso di un’acqua insalubre, e di cattiva qualità […]. Non infrequenti difatti sono le infermità in questo Paese».
Così appariva la fonte prima del restauro ottocentesco.
Ampliata dunque e resa più efficiente sul piano idraulico, la nuova fonte pubblica si presentava più semplice dal punto di vista estetico rispetto al progetto originariamente previsto (che contemplava forme maestose e classiche, con la parte centrale della struttura caratterizzata da un’apertura ad arco con porta sottostante, incorniciate da paraste, sopra cui si innestano l’architrave, il timpano spezzato di gusto manierista e gli ornati scultorei sulla cimasa) ma era sicuramente più funzionale e fu accolta con grande soddisfazione dalla comunità montemarcianese, che si era adoperata non poco per facilitare i lavori di rifacimento. Si legge in un documento del 1820 che
«tutti si sono offerti di somministrare gratis chi carri per i trasporti, e chi manualità per accelerare, ed economizzare l’esecuzione».
La fonte è costituita da una struttura muraria in laterizio, nel cui scomparto centrale a emiciclo si conservano lo stemma di Montemarciano (seppure non perfettamente integro), sulla cimasa, e più in basso la targa commemorativa (su cui è scritto: «Edificata dalla comunità nell’anno 1821») apposta dopo il restauro ottocentesco, elementi di decoro questi realizzati entrambi in pietra d’Istria. Reca un piccolo sportello in legno sulla sinistra; la pavimentazione a selciato è di una qualità di pietra ricavata dai monti di Pesaro.
Le autorità montemarcianesi succedutesi al potere cercarono sempre di regolamentare l’uso pubblico di questa fonte, a riprova di come fosse tenuta in gran conto per la sua estrema utilità. Pene pecuniarie erano previste, già nel corso del XVI secolo, per chiunque avesse lavato i panni o portato ad abbeverare il bestiame in detta fonte, come si legge tanto negli Statuti antichi (malatestiani) come in quelli nuovi (o Statuti Piccolomini):
«Della pena di chi lavarà panni nella fonte della Selvettina. Statuto che nessuna persona, di qualunque grado o condiction si sia, che non debbiano per alcun tempo lavar panni né far altra bruttura né abeverare sorte alcuna di bestiame in la fonte della Selvetina o di Casciano [Cassiano, frazione di Montemarciano dove era presente un’altra fonte], sotto pena di bolognini 6 [in seguito aumentata a 10 bolognini] per volta et per bestia».
La Fonte Bella compare in due sardonici componimenti del poeta montemarcianese Guido Moretti. Uno, pubblicato nel 1970, dal titolo “L- tre font- bandunat”, dedicato anche ad altre due fonti pubbliche presenti a Montemarciano (il pozzo pubblico in contrada Letti, oggi via Pozzo del Letto, e la fonte “La Canella”, in prossimità della chiesa di S. Maria delle Grazie), tutte e tre ridotte in stato di semi abbandono dopo la sistemazione di una nuova pompa con cisterna sotterranea nell’attuale Piazza V. Veneto, ai primi del Novecento (pompa in seguito eliminata per fare posto ad un piccolo parcheggio). La poesia è in dialetto montemarcianese e sulla Fonte Bella Moretti scrive:
«pina d’vernia degna d- rispett-
bastava mezz- gir- d- manuvella
p-r rimpitt la brocca e ‘ncò el brucchett-. […]»
(«piena di lusso, degna di rispetto
bastava mezzo giro di manovella
per riempirti brocca e brocchetto»).
L’altro componimento, intitolato “La Font-Bella”, sempre in dialetto montemarcianese, riprende un po’ il precedente, descrivendo con una certa enfasi la bellezza e il grande utilizzo di questa fonte nel corso dei secoli, ed ironizzando in maniera pungente sul suo essere un po’ caduta in disuso in tempi più recenti. Si riportano qui di seguito alcuni estratti della poesia, pubblicata nel 1971 (ma scritta qualche anno prima):
«La “Font- Bella” eva cuscì chiamata
p-rché sul pozz- cuprit-, na muratura
eva sul front- ben intunacata
cun curnigion-, senza ‘na bruttura!
[…]L’acqua mezz- Paes- la piava lì!
L- donn- c-sfurb-ciav-n-, s- dic-,
la brocca al fianch-, pina o da rimpì/[….]»
(La Fonte Bella era chiamata così
perché sul pozzo coperto, di muratura,
era ben intonacata sul fronte
con cornicioni, senza alcuna bruttura[…]
«L’acqua mezzo paese l’attingeva da lì!
Le donne, si dice, si intrattenevano qui in faccende amorose
con la brocca al fianco, piena o da riempire./[…]»).